Il caldo è finalmente giunto a Taipei dopo quasi due settimane di freddo e pioggia ininterrotti. Ora che stare fuori è impossibile, mi mancano quasi quegli acquazzoni che rendevano le notti di maggio meno silenziose. Protetto, dall’interno del mio appartamento, ho ammirato la pioggia al punto di fantasticare l’acquisto di un tavolino, da mettere fuori, sul mezzanino. Da lì potrei comodamente sorseggiare il tè al latte taiwanese, 奶茶, godendo dello scrosciare dell’acqua sui tetti di lamiera, e sulle lunghe foglie del pruno nel giardino di fronte.
La parte meno esaltante di questo inizio di carriera consiste nella realizzazione di aver raggiungo un punto di non-ritorno. Come i fiumi, che a volte confluiscono in grandi laghi prima di proseguire il loro corso verso la foce, così la mia esistenza improvvisamente ha rallentato il proprio cammino. Le giornate si susseguono quasi identiche, e ho l’impressione di aver varcato la soglia di una specie di limbo.
Taipei è, sorprendentemente, minuscola. Gli stranieri qui si conoscono tutti. La ragazza con cui hai passato la notte la sera scorsa aveva dormito col tuo amico la settimana prima. Ho l’impressione di essere tornato ai tempi del liceo, dove tutti sapevano chi facesse cosa e con chi. Tento di uscire da questo circolo soffocante, di imparare bene il cinese, ed il prima possibile, di conoscere una ragazza che non sia stata in contatto con l’universo di Maji square.
È difficile, perché qui sono solo, non ci sono compagni di università, come in Giappone, né praticamente altri italiani. E tutti sono, inevitabilmente, pienamente coinvolti nella loro vita a Taiwan, in maniera quasi acritica. E se non avessi vissuto a Tokyo prima d’ora, forse lo sarei anch’io! Ma come non vedere, nei francesi che affollano il bar Haku (che i locali hanno soprannominato 白龍) il venerdì sera, una brutta copia degli americani che, ogni sera, popolavano il bar Tasuichi di Shibuya?
Continuo a pensare che il tipo di vita che gli stranieri conducono qui mi mette una certa tristezza. Forse è ora di abbandonarla? Da cosa posso, in fin dei conti, ricavare la mia porzione settimanale di piacere? Dall’ennesima ragazza, o da una mattina trascorsa a letto, nudo, solo, a bere tè, ascoltare poesie, leggere Terzani?
Forse il piacere della conoscenza, di quella fine a se stessa, non è infine del tutto perduto.